Charlie Hebdo, l'insopportabile massacro.


Il 2015 è iniziato male, molto male.
L'attentato alla redazione parigina della rivista satirica Charlie Hebdo ha scosso profondamente l'opinione pubblica.
Una parte di opinione pubblica, non credo tutta.
Sono spesso restia a commentare sui social, non credo che le mie opinioni siano necessarie e interessanti, siamo fin troppi a dare giudizi  e questo avviene spesso in maniera becera e populista ed io non ho la giusta preparazione culturale per farlo in maniera adeguata.
Ma la morte di Charb (Stéphane Charbonnier), Cabu (Jean Cabus), Tignous (Berdard Verlhac), Georges Wolinski e di tutte le persone coinvolte in questo assurdo attentato alla libertà non passerà inosservata, lo dimostrano le reazioni e le immense manifestazioni di solidarietà avvenute in Francia e non solo.
Emma Bonino in un'intervista all'Espresso, ha affermato:
Per contrastare i semi dell'odio che invadono un'Europa debole con i razzisti e impotente con i dittatori è necessario coltivare il laicismo. Unica arma contro i talebani di ogni credo.
Giusto. 
Ma cos'è Charlie Hebdo? Un articolo de Il Post lo spiega alla perfezione:
http://www.ilpost.it/2015/01/07/charlie-hebdo/ 

E mi chiedo...ma voi lo ricordate Il MALE di Vincino?
Erano gli anni che andavano dal 1978 al 1982.
Sfogliando ora una copia nascosta nel caos del salotto di casa mi rendo conto che nulla di simile potrebbe essere pubblicato in Italia oggi, nel 2015.
Da oltre 20 anni nel nostro paese si oscura quel tipo di satira provocatoria, volutamente scurrile e oscena.
Si oscura perfino Daniele Luttazzi!
E nelle piazze abbiamo le Sentinelle in piedi che manifestano contro l'omosessualità.
Abbiamo Salvini.
Abbiamo Il Giornale.
Chi vuole rimandare indietro immigrati e rom.
Chi insulta su Facebook le due volontarie italiane rapite in Siria.
Insomma, a libertà di parola, satira e varie non siamo certo in prima linea. 
Concludo lasciando esprimere chi è in grado di farlo: Michele Serra con la sua Amaca odierna.
La stampa in trincea.
Il ceppo di Charlie e del suo antenato Hara Kiri è quello del radicalismo laico e repubblicano, molto solido in Francia. Con una forte innervatura sessuomane, anarchica e anticlericale esplosa con lo spirito sessantottardo ma ben presente anche prima, lungo Nove e Ottocento.
NON è vero che a Charlie Hebdo niente è sacro. Sacra, in quel vecchio giornale parigino, è la libertà. Danzava, la libertà, allegra e nuda come le donnine di Wolinsky, attorno alla fragile trincea di scrivanie coperte di carta, matite, giornali, pennarelli (l’arsenale delle vittime) sulle quali sono caduti gli impenitenti artisti della satira francese, molti dei quali anziani, freddati dai loro giovani assassini.
Ragazzi bigotti che uccidono vecchi libertini. Autori di lungo corso come Georges Wolinsky, Charb, Cabu, usciti indenni da cento processi per oscenità, scampati a licenziamenti, fallimenti e censure, sopravvissuti perfino alle tante rissose diaspore interne al mondo (litigiosissimo) del giornalismo satirico, per poi morire così, macellati da due imbecilli sanguinari che della libertà niente possono e vogliono sapere: la libertà sta ai fanatici come la bicicletta ai pesci. Il ceppo di Charlie e del suo antenato Hara Kiri è quello, così solido in Francia, del radicalismo laico e repubblicano. Con una forte innervatura sessuomane, anarchica e anticlericale esplosa con lo spirito sessantottardo ma ben presente anche prima, a ritroso lungo Nove e Ottocento. Ispiratore indiscusso della rivista fu François Cavanna (origini piacentine), un vecchio hippy ribelle autore di versi esilaranti e spietati sulla soggezione dei popoli al potere e alle religioni. È morto nel suo letto quasi un anno fa, novantenne, candido e magro come un sacerdote, risparmiandosi questo orrore, e lo strazio di sapere offesa così in profondità la sua ilare tribù.
Il marchio di fabbrica di quel milieu satirico, immutato negli ultimi decenni e attraverso numerose testate, è una sorta di oltranzismo libertario e libertino che irrita anche la sinistra perbenista ed è sempre stato odiato dalla destra tradizionalista: il precedente direttore del giornale Philippe Val, omosessuale, pochi anni fa venne inseguito e picchiato per la strada, dopo un dibattito televisivo, da un gruppo di cristiani omofobi che voleva insegnarli come si sta al mondo. Una umiliante rappresaglia, ma niente in confronto al mostruoso esito del nuovo conflitto nel quale Charlie Hebdo, diciamo così per sua natura, non poteva non immischiarsi: quello tra la libertà di espressione e il fondamentalismo islamista. La lunga guerra iniziata “ufficialmente” nell’ormai lontano 1989 con la fatwa contro Salman Rushdie e i suoi Versi satanici . Guerra intestina all’Europa, va ricordato, fino dal suo primo atto: pare certo che la condanna a morte di Rushdie sia stata ispirata da ambienti islamisti londinesi, come se la refrattarietà di quel pezzo di Islam alla libertà di parola e di immagine fosse acuita, irreparabilmente, dalla promiscuità con i nostri costumi, ivi compresa la nostra (benedetta) scostumatezza.
La satira è, di suo, un linguaggio di confine, estremo e poco conforme alla disciplina. Restando (e purtroppo ci tocca) nella metafora bellica, è come un corpo di guastatori, le cui sortite non possono che scompaginare i ranghi, destabilizzare i ruoli. Sarebbe del tutto immorale, qui e ora, aprire il dibattito sulla liceità della blasfemia, o se volete della insolenza verso i dogmi religiosi. Sarebbe la cosa più blasfema da fare accanto a quei morti innocenti, e certamente morti di libertà (a causa della libertà, in nome della libertà). Sarebbe come se dalle retrovie, e con il culo al caldo, ci permettessimo di discettare sul rischio che si sono presi quei caduti.
Limitiamoci a constatare che, sul fronte della libertà di parola e di immagine, la satira non può che essere in prima linea. E a Charlie Hebdo avevano deciso di non arretrare di un passo. Ben sapendo — tra l’altro — che per una rivista fatta sostanzialmente da disegnatori la collisione con l’iconoclastia islamista è nelle cose. Le vittime di questa carneficina avevano tutte, metaforicamente o nella realtà, la matita in mano. E’ la matita, in questo vero e proprio Ground Zero della libertà di stampa, il minimo eppure potentissimo grattacielo abbattuto. Mettetevi una matita nel taschino, nei prossimi giorni, per sentirvi più vicini a Charlie, anche se non l’avete mai letto, anche se la satira vi piace così così, e la trovate eccessiva o sguaiata o provocatoria.
Salutiamo con un sorriso aperto — loro non vorrebbero di meglio — quella gente appassionata, intelligente e inerme, il direttore Charb (Stéphane Charbonnier), Cabu (Jean Cabus), Tignous (Berdard Verlhac), Georges Wolinsky, ingoiati dal buco nero dell’odio politico-religioso insieme al giornalista Bernard Maris, ad altri cinque compagni di lavoro e a due agenti di polizia. Provate a immaginare, per prendere le misure della strage di rue Nicolas- Appert, se i vignettisti che ogni giorno vi fanno ragionare o ridere sui giornali italiani venissero falciati tutti o quasi da un pogrom di fanatici, lasciando vuoto, sulla pagina, quel quadrato così superfluo e così indispensabile. Non dimentichiamoci mai, neanche per un secondo, come profuma di buono la libertà, e quanto siamo debitori, come europei, alla Francia e a Parigi."
La Repubblica, 8/1/15
          Michele Serra 

Perché non si può morire di matita.
Viva la Francia, viva Parigi.

Charb

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